E tra qualche tempo ne avrete certamente notizia».
1 Nell’anno poco tempo dopo la conversione all’IsIàm di ‘Umar (vedi sura xx, nota 1), i Quraysh tentarono di convincere l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) ad un compromesso tra il loro culto tradizionale e quello che veniva da lui predicato e che si stava rapidamente diffondendo. Si trattava più che altro di un patto di non aggressione: i musulmani si dovevano impegnare a non disprezzare pubblicamente le divinità degli arabi politeisti e ottenevano in cambio il diritto di esercitare il loro culto e la cessazione delle persecuzioni di cui erano stati fatti oggetto. Abû Tâlib, capo del clan dei Bani Hâshim, zio e protettore del Profeta, cercò di mediare tra i due schieramenti, senza rinnegare il suo politeismo, ma rivendicando al nipote e ai suoi il diritto di professare liberamente la loro religione. L’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) fu inflessibile, non c’erano compromessi possibili sul «tawhìd» (l’unicità di Dio) e ciò doveva essere riconosciuto da tutti quanti. Non ci fu nessun accordo e i capi dei clan Quraysh se ne andarono irritati dal fallimento del loro progetto e meravigliati da tanto ardire. A questo episodio si riferiscono i verss. 4-
2 A proposito dell’uso della seconda persona plurale piuttosto che la prima vedi nota a XII,
3 «l’ultima religione»: secondo la maggior parte dei commentatori il riferimento sarebbe al cristianesimo. Il culto trinitario che lo contraddistingue faceva sì che i politeisti non lo sentissero sostanzialmente diverso dal loro. Al contrario, il monoteismo sembrava loro privo di senso.
4 Una profezia sulla disfatta coreiscita e sul fatto che la loro potente organizzazione si dissolse con il ritorno alla Mecca dei musulmani? Allah ne sa di più.
5 «Faraone, il Signore dei pali»: secondo le interpretazioni classiche l’espressione «dhul-awtàd» (che abbiamo tradotto con «il Signore dei pali») deve essere intesa nel senso che Faraone era solito suppliziare i suoi oppositori con l’impalamento o una sorta di crocifissione (vedi xx, oppure potrebbe essere tradotta «… e Faraone dal forte dominio». Alcuni traduttori hanno pensato che fosse un’allusione alle piramidi, altri hanno identificato gli «awtàd» con i soldati di cui era solito circondarsi Faraone. Un’altra interpretazione più controversa ma non priva di un qualche fondamento, ritiene che «dhul-awtàd» indichi un grado della gerarchia magico-iniziatica di cui Faraone era il massimo esponente e che governava con ferocia il paese d’Egitto. Questa interpretazione pare avvalorata dagli studi dell’archeologia contemporanea secondo i quali Faraone era re dei due Egitti (il «basso» e «l’alto» Egitto) e pertanto portava due corone e due scettri che simboleggiavano questa doppia sovranità. Gli scettri o «bastoni» erano il simbolo del sacerdozio e ogni sacerdote portava lo scettro del suo «dio»; solo Faraone poteva usare tutti i bastoni essendo il capo di tutti gli ordini sacerdotali, il «sommo sacerdote» di tutti gli dèi.
6 «quelli di Al-’Aikah»: la gente di Shu‘ayb, i Madianiti.
7 Vengono paragonate le fazioni che si opposero all’IsIàm ai tempi di Muhammad alle fazioni dell’alleanza dei Quraysh.
8 «improrogabile»: o anche «che non si ripeterà, continuo, i cui effetti saranno irreversibili».
9 Questa è l’ironia blasfema dei miscredenti che si prendono gioco della parola di Dio.
10 «così forte, così pronto al pentimento»: il Corano ricorda Davide in due sue caratteristiche peculiari, il fatto che, come ci riferisce un hadith autentico, viveva del lavoro delle sue mani e la sua capacità di riconoscere i suoi sbagli e tornare pentito al suo Signore.
11 I verss. e alludono ai Salmi che furono dati al Profeta Davide (pace su di lui). Essi sono un canto di lode a tutta la natura e al suo Creatore (gloria a Lui l’Altissimo).
12 Racconta la tradizione che Davide, pur avendo novantanove mogli nel suo gineceo, fu preso dalla passione per una donna promessa ad un suo ufficiale. Cercò di convincerla a lasciare il suo sposo agendo così in modo scorretto e attirando su di sé il rimprovero del suo Signore. Per dargli modo di capire il suo errore Allah (gloria a Lui l’Altissimo) gli inviò due angeli che assunsero forma umana e gli chiesero di dirimere un loro contrasto. I termini della lite erano tali che Davide potesse comprendere l’errore del suo comportamento e così avvenne. Questa è la versione trasmessa dai primi esegeti musulmani che attinsero alle fonti israelitiche del loro tempo, non esistendo una tradizione autentica risalente all’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) cui si può tenere con certezza il musulmano. Alcuni commentatori, tuttavia, rifiutano categoricamente che un profeta di Allah (gloria a Lui l’Altissimo) possa essere stato vittima di una tale debolezza. Ben diversa la storia che racconta la Bibbia (II Samuele, XI, XII). Secondo questo testo, Davide non solo avrebbe sedotto e ingravidato la donna, ma avrebbe addirittura tramato la morte del rivale, ordinando al comandante delle sue armate di esporlo in combattimento in un luogo di grande pericolo. L’ufficiale morì e Davide si prese la donna. Come già in altri brani (vedi la storia di Giacobbe ed Esaù, di Abramo e Sara ecc.), gli ebrei dimostrarono scarsissima stima e considerazione per i profeti di Allah (pace su tutti loro) facendoli compartecipi delle peggiori passioni umane.
13 II mondo non si è autocreato, esso non è frutto di uno spettacolare concatenarsi di coincidenze. Nel creato è insito un preciso disegno divino che esclude qualsiasi casualità.
14 «su di te»: o Muhammad.
15 «ritti su tre zampe»: alcune pregiate razze di cavalli si contraddistinguono per il fatto che gli animali stanno ritti poggiando su tre zoccoli e tenendo graziosamente sollevata la quarta zampa.
16 Secondo la tradizione Salomone si lasciò distrarre dall’ammirazione per alcuni superbi cavalli che aveva comprato per destinarli alla guerra per la causa di Dio. Rimase a contemplarli fino all’ora del tramonto, trascurando di assolvere alla preghiera del pomeriggio. Quando se ne rese conto, pieno di ira contro se stesso e le sue passioni, ne uccise molti con le sue stesse mani (vedi vers. 33). Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non ritenne che questa fosse espiazione sufficiente e permise ad uno dei jinn che vivevano alla sua corte, di impadronirsi del suo anello, di sostituirsi a lui e fargli provare così l’amarezza della sua colpa.
17 «mettendo un corpo sul suo trono»: abbiamo preferito mantenere la traduzione letterale riferendoci all’interpretazione suggerita dalla nota precedente. Trattandosi di un dèmone che aveva preso il suo posto assumendone le sembianze, non era un’altra persona quella che era salita sul suo trono, ma appunto «un corpo». Un’altra ipotesi di comprensione del testo trae spunto da un peccato di superbia che avrebbe commesso Salomone. Una sera egli disse: «Questa notte mi unirò con tutte le mie mogli e genererò cento figli che combatteranno per la gloria di Dio». Presuntuoso o distratto, dimenticò di sottomettere all’Altissimo la sua decisione pronunciando la formula «inshallah» (se Allah vuole). Delle sue novanta mogli ne rimase incinta solo una, partorì un figlio deforme e lo gettò sul suo trono.
18 «nuotatori»: nel senso di «pescatori di perle».
19 Vedi XXI, e la nota.
20 «e con essa un’altra simile»: vedi nota a XXI,
21 Durante la fase più acuta della prova che Giobbe sopportò per diciotto anni, egli ebbe un moto di ira nei confronti della moglie e giurò che se mai si fosse ristabilito le avrebbe inflitto cento colpi. Dopo che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) lo liberò dal tormento, Giobbe ebbe pena della moglie, che lo aveva assistito con amore e dedizione e si trovava in grande imbarazzo a proposito del suo giuramento. Allah gli suggerì di prendere cento steli d’erba (in altre tradizioni un ramo di palma da datteri spogliato dei frutti) e colpire sua moglie una sola volta.
22 «Dhù’l Kifl»: vedi nota a XXI,
23 I dannati si rivolgono a coloro che ritengono responsabili della loro rovina.
24 Nell’Inferno i peccatori non si rendono conto che la miseria materiale della vita terrena non si identifica con quella spirituale dell’Altra vita e allora cercano, tra i loro compagni di sventura, i volti dei poveri che avevano schernito e di cui non avevano nessuna considerazione (Tabarì XXII, 181-182).
25 «Non avevo…»: Muhammad (pace e benedizioni su di lui) non poteva avere nessuna esperienza diretta dei particolari della ribellione di Iblis che sono riferiti nel Corano.
26 Vedi nota a VII,
27 «protetti»: abbiamo tradotto così l’aggettivo «mukhlasìn». Nel senso che grazie alla protezione e alla grazia divina, non si lasceranno traviare. Altro significato: sinceri.
28 «Di’»: o Muhammad!
29 «Non vi chiedo…»: per il messaggio che vi ho trasmesso.
30 «… che vogliono imporsi»: [agli altri adducendo il pretesto di una falsa rivelazione].