٢٨١

E temete il giorno in cui sarete ricondotti verso Allah. Allora ogni anima avrà quello che si sarà guadagnato. Nessuno subirà un torto.

Hamza Roberto Piccardo

٢٨٢
O voi che credete, quando contraete un debito con scadenza precisa, mettetelo per iscritto; che uno scriba tra di voi lo metta per iscritto, secondo giustizia. Lo scriba non si rifiuti di scrivere secondo quel che Allah gli ha insegnato; che scriva dunque e sia il contraente a dettare, temendo il suo Signore Allah e badi a non diminuire in nulla. Se il debitore è deficiente, o minorato o incapace di dettare lui stesso, detti il suo procuratore secondo giustizia. Chiamate a testimoni due dei vostri uomini o in mancanza di due uomini, un uomo e due donne, tra coloro di cui accettate la testimonianza, in maniera che, se una sbagliasse l’altra possa rammentarle. E i testimoni non rifiutino quando sono chiamati. Non fatevi prendere da pigrizia nello scrivere il debito e il termine suo, sia piccolo o grande. Questo è più giusto verso Allah, più corretto nella testimonianza e atto ad evitarvi ogni dubbio; a meno che non sia una transazione che definite immediatamente tra voi: in tal caso non ci sarà colpa se non lo scriverete. Chiamate testimoni quando trattate tra voi e non venga fatto alcun torto agli scribi e ai testimoni; e se lo farete, sarà il segno dell’empietà che è in voi. Temete Allah, è Allah che vi insegna. Allah conosce tutte le cose 1 .

Hamza Roberto Piccardo

٢٨٣
Se siete in viaggio e non trovate uno scriba, scambiatevi dei pegni. Se qualcuno affida qualcosa ad un altro, restituisca il deposito il depositario e tema Allah il suo Signore. Non siate reticenti nella testimonianza, ché invero, chi agisce così, ha un cuore peccatore. Allah conosce tutto quello che fate.

Hamza Roberto Piccardo

٢٨٤
Ad Allah appartiene tutto ciò che è nei cieli e sulla terra. Che lo manifestiate o lo nascondiate, Allah vi chiederà conto di quello che è negli animi vostri. E perdonerà chi vuole e castigherà chi vuole. Allah è onnipotente.

Hamza Roberto Piccardo

٢٨٥
Il Messaggero 1 crede in quello che è stato fatto scendere su di lui da parte del suo Signore, come del resto i credenti: tutti credono in Allah, nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri e nei Suoi Messaggeri. «Non facciamo differenza alcuna tra i Suoi Messaggeri.» 2 E dicono: «Abbiamo ascoltato e obbediamo. Perdono, Signore! È a Te che tutto ritorna».

Hamza Roberto Piccardo

٢٨٦
Allah non impone a nessun’anima un carico al di là delle sue capacità 1 . Quello che ognuno avrà guadagnato sarà a suo favore e ciò che avrà demeritato sarà a suo danno. «Signore, non ci punire per le nostre dimenticanze e i nostri sbagli. Signore, non caricarci di un peso grave come quello che imponesti a coloro che furono prima di noi. Signore, non imporci ciò per cui non abbiamo la forza. Assolvici, perdonaci, abbi misericordia di noi. Tu sei il nostro patrono, dacci la vittoria sui miscredenti.» 2 3 Rivelata a Medina immediatamente dopo l’Egira, questa sura è la più lunga di tutto il Corano e contiene elementi di grande importanza sia dal punto di vista dottrinale, che da quello giuridico. L’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di Lui), disse: «Ogni cosa ha il suo culmine, “Al-baqara” è il culmine del Corano». Il suo nome deriva dalla storia raccontata nei verss. 67-La tradizione islamica riferisce un detto di ‘Ubayda che disse: «Tra i Figli di Israele un uomo anziano fu ucciso da un parente e portato nottetempo nel territorio di una tribù diversa dalla sua per far ricadere su di essa la responsabilità dell’omicidio». La questione causò gravi incidenti tra le tribù al punto che stava per scoppiare una vera guerra. Qualcuno più sensato disse loro: «Volete uccidervi l’un l’altro quando tra noi c’è un Inviato di Allah?». Si recarono da Mosè (pace su di lui) [affinché indicasse il colpevole]… (prosegue la storia con il dialogo tra Mosè e la sua gente a proposito dell’ordine di sacrificare la giovenca e delle sue caratteristiche)… ‘Ubayda concluse: «Allah disse loro di colpire il cadavere con una parte della giovenca [la mascella secondo alcuni]. Il morto si alzò e indicò il suo assassino. La giovenca era stata pagata a peso d’oro». Quest’ultimo particolare avvalora l’interpretazione che vede nell’episodio una prova che gli ebrei dovevano superare per dimostrare di aver completamente abbandonato l’idolatria, nella quale erano caduti adorando il Vitello d’oro nel deserto. Oltre a Mosè, nella Sura della Giovenca vengono citati, direttamente o per allusione, altri Profeti: Adamo (di cui viene narrata la creazione nei verss. 30-39), Abramo con i figli Ismaele e Isacco, Samuele, Saul, Davide, Salomone, Gesù (pace su tutti loro) e viene espresso con la massima chiarezza che il Corano non è una «nuova» rivelazione, ma piuttosto la «Rivelazione Ultima» che si ricollega a quelle precedenti per confermarle (vers. 136), per abrogare elementi che avevano solo valore contingente, per ristabilire la purezza del culto in seguito alle deviazioni e alle aberrazioni degli uomini. 4 Vedi Appendice 5 «i timorati»: con questa allocuzione abbiamo tradotto il termine «muttaqùn». La «taqwà», che è appunto quello che provano i muttaqùn, è il timore reverenziale di Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Qualcosa che non ha nulla a che fare con la paura, che è molto più grande ma che non diventa mai terrore. Il musulmano piange per timor di Allah, ma è piuttosto la dolcezza e non l’ansia quella che scioglie il suo cuore, scuote il petto nei singhiozzi e fa colare le lacrime. 6 «assolvono all’orazione»: vedi Appendice 7 «e donano…» lett. spendono (caritatevolmente). Si tratta di elemosina volontaria; per quella obbligatoria, «zakât», vedi Appendice 8 «ciò che è stato fatto scendere»: questa espressione indica la Rivelazione. 9 «su di te e… prima di te»: «su di te o Muhammad». Il Corano non rinnega la tradizione profetica precedente, anzi la conferma e la rafforza. 10 Quando l’uomo rifiuta con pervicacia il timore di Allah, condizione necessaria e sufficiente per poter ricevere il Suo messaggio, Allah lo ottenebra completamente, rende impenetrabile il suo cuore, sorde le sue orecchie, ciechi i suoi occhi (vedi n, 18). 11 In questo versetto Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ci parla dei falsi credenti. Quelli nel cui cuore c’è il «nifàq», l’ipocrisia e che, pertanto, vengono chiamati «munàfiqùn». Come sempre il Corano ha una valenza particolare e universale: ogni versetto ha un significato relativamente alle contingenze specifiche della sua rivelazione e un significato per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Per quanto riguarda il significato contingente, i commentatori classici ci vedono un’allusione ad alcuni clan medinesi che avevano accettato di malavoglia la presenza dell’Inviato di Dio (pace e benedizioni su di lui) e gli avevano promesso obbedienza solo con la segreta intenzione di tramare contro di lui con chiunque gli fosse nemico. 12 una malattia»: il dubbio. Nella cultura occidentale si è scritto e detto molto a proposito dell’importanza del dubbio, del valore assoluto della critica per preservare la società e la cultura dalle aberrazioni totalitarie e assolutiste. Tutto questo può anche essere vero, in una cultura che si basa su teorie umane, su assunti ideologici o filosofici concepiti dall’uomo, su princìpi etici contingenti e instabili. Quando però ci si trova di fronte alla Parola di Allah, alla Rivelazione della Sua Dottrina e della Sua Legge, questo dubbio è davvero una malattia, un qualcosa di distruttivo e destabilizzante per l’equilibrio dell’uomo e della società in cui vive. Immaginate la condizione di un uomo che pretenda di analizzare ogni singola boccata d’aria prima di respirarla, ogni cibo e bevanda prima di consumarli. Immaginate qualcuno che voglia verificare tutto un impianto elettrico prima di accendere una lampadina o che non accetti di iniziare una giornata senza prima aver eseguito un check-up completo delle sue condizioni fisiche, con tanto di elettrocardiogramma, elettroencefalogramma, analisi del sangue, tac e simili. Dubitare di Allah, dei Suoi Libri, dei Suoi Angeli e dei Suoi Inviati ha un effetto ancora più devastante sulla mente di chi dubita e sulla società che è afflitta dal dubbio e dai dubbiosi. 13 « «siamo dei conciliatori»; traducendo il termine «muslihùn» con «conciliatori», abbiamo scelto l’interpretazione di Ibn Abbàs che disse: «Innama nahnu muslihùna, significa “noi cerchiamo di conciliare le due parti, i credenti e la Gente del Libro”. Mujàhid invece ritenne che volesse significare: «Noi agiamo nella buona direzione». In entrambi i casi quello che il Corano stigmatizza è il comportamento degli ipocriti. 14 «i loro dèmoni»: in questo caso si tratta di certi dottori ebrei e cristiani che facevano di tutto per distogliere la gente dalla fede nell’Islàm. In senso generale consideriamo che ogni uomo ha il suo demone (e a volte più di uno), che è connaturato alle sue passioni terrene; nella solitudine del dialogo interiore può avvenire un discorso di questo genere. 15 «che sprofondino»: lett. «che si estendano nella…»; noi diremmo che «si allarghino…». 16 II fuoco acceso è la luce della fede che dà forma alla realtà storica dell’uomo, con leggi, usi, tradizioni. Nel caso degli ipocriti questa illuminazione si riferisce solo ad un fatto esteriore. Se hanno accettato l’IsIàm solo come forma della loro realtà materiale, senza una sincera adesione interiore, al momento della morte Allah (gloria a Lui l’Altissimo) sottrarrà loro la luce della fede e quelli saranno come ciechi per l’eternità. 17 Tre aggettivi pesanti come macigni: sordi alla Parola di Allah, muti perché non la ripetono, ciechi perché privati della luce di cui, comunque, l’IsIàm ha irradiato la loro esistenza. 18 «non possono ritornare»: il pentimento tardivo è del tutto inutile. Secondo la dottrina islamica Allah (gloria a Lui l’Altissimo) accetta il pentimento dell’uomo finché in esso c’è ancora una ragionevole speranza di vita. Quando l’anima «risale alla gola» per lasciare l’uomo, il destino si è compiuto e non c’è più nessuna possibilità di modificarlo. 19 Continua la descrizione della condizione dei «munàfiqùn» (gli ipocriti): il loro comportamento ricorda quello degli struzzi: sono convinti che basti non sentire il fragore dei fulmini che si abbattono per sfuggire al loro effetto. La luce dellTslàm, che hanno accettato solo esteriormente, provoca in loro un grande sconvolgimento. Ciononostante l’effetto positivo della pratica religiosa fa sì che possano esserne rischiarati e possano procedere. Il fragore e la luce sono mezzi attraverso i quali Allah (gloria a Lui l’Altissimo), li vuole condurre sulla retta via e, pertanto, non li ha privati dell’udito e della vista. 20 «In verità Allah su tutte le cose è potente.» Crediamo che talvolta la traduzione letterale renda meglio il significato di un’espressione che ricorre molto spesso nel Corano. In altre occasioni tradurremo «Egli è L’Onnipotente». 21 L’adorazione è un mezzo per realizzare la «taqwà», il timor di Allah (vedi n, 2), ed essere quindi i veri destinatari del Messaggio coranico. 22 «sul Nostro Servo»: Muhammad (pace e benedizioni su di lui), quello che è sceso su di lui è il Corano. 23 «portate…»: A proposito dell’inimitabilità del Corano vedi anche x, xI, xvII, xxvIII, 24 «il Fuoco»: quello dell’Inferno, il Corano gli dà diversi nomi: Al-Jahìm (la Fornace), As-Sa‘ìr (la Fiamma), Hutama (Quella che distrugge), Hàwiya (Il Baratro, l’Abisso), Al- Harìq (l’Incendio). 25 «Giardini in cui scorrono i ruscelli»: il giardino percorso dall’acqua e ricco di frutti: è questa l’immagine del Paradiso che più frequentemente ricorre nel Corano. Per chiunque abbia avuto la possibilità di vedere un’oasi nel deserto, l’immagine è di grande eloquenza: con attorno sabbia o sassi, per un raggio di decine o centinaia di chilometri, l’oasi è la vita dopo la morte, la frescura dopo la calura insopportabile, l’acqua dopo la disidratazione, la vegetazione dopo l’aridità quasi assoluta, il cibo dopo la fame, il riposo dopo la fatica, in definitiva una promessa di vita dopo una minaccia di morte. 26 «… Già ci era stato concesso!» La vita eterna è specchio solo apparente della vita terrena. I credenti riconosceranno i frutti che avevano goduto o desiderato sulla terra, ma ben diversa è la qualità di quello che viene loro offerto. E anche per quanto riguarda le «spose purissime», vale lo stesso discorso. La malevolenza della critica occidentale più rozza e prevenuta ha spesso ironizzato pesantemente sulla «forma» del Paradiso islamico, gratificandolo di: «materiale, sensuale, rigurgitante di donne disponibili ed efebi coppieri». Nulla di più sviante e mistificante. Senza entrare nel merito delle diverse interpretazioni che tradizionalisti e mistici hanno avanzato a proposito della realtà o della allegoria delle descrizioni coraniche, ci si consenta citare l’hadith con il quale l’imam Al-Nawawì conclude il «Riyâdu aş-Şâlihîn». «L’Inviato di Allah disse: “Quando gli abitanti del Paradiso vi entreranno, Allah Benedetto ed Altissimo dirà: ‘Volete che vi sia qualcosa in sovrappiù?’. ‘Non hai forse rischiarato i nostri volti?’ diranno ‘Non ci hai forse fatti entrare in Paradiso e liberati dal Fuoco?”’, ed Egli strapperà il velo: e non sarà stata data loro cosa più cara della vista del loro Signore”». (Muslim) [Il Giardino dei Devoti, (2.17), Trieste, siti, 1990]. 27 Tramite il Corano Allah (gloria a Lui l’Altissimo) risponde a quei critici che argomentavano che una Sacra Scrittura non poteva abbassarsi ad esempi vili (le formiche, le api, il ragno ecc.). Allah Onnipotente ribadisce la Sua potestà di usare le parabole per spiegare la Verità alle menti umane. 28 «allontana»: Allah allontana coloro che non vogliono essere ricondotti a Lui. Chi si permette un’orgogliosa polemica con la Parola di Allah certamente non brama la Sua Guida e il Suo Volto, e certamente non lo avrà; questi sono i «fàsiqùn» che abbiamo tradotto con «iniqui». 29 «il patto di Allah»: proviamo un certo disagio ad usare il termine «Patto» quando una delle parti è Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Ciononostante è questo il significato esatto di «‘ahdu ‘Llàh». Secondo i commentatori c’è una diretta allusione agli ebrei, che accettarono la missione che Allah diede loro e poi la tradirono. 30 «spezzano ciò»: i legami della solidarietà islamica, quelli di alleanza e quelli di sangue. Ogni impegno lecito e lecitamente accettato diventa vincolante per il credente. 31 «che spargono la corruzione sulla terra»: il concetto che viene espresso con «corruzione» è proprio quello che deriva dalla concezione di un mondo creato puro da Allah (gloria a Lui, l’Altissimo) e degradato dal peccato dell’uomo. 32 Ecco gli stati dell’uomo, che il Corano ci ricorderà in molti brani esemplificandoli in maniere diverse. Una prima condizione di «non-vita» durante la quale l’uomo è solo un’intenzione divina, poi la vita terrena attraverso le fasi del concepimento, la gestazione, la nascita, la crescita, la maturazione, il decadimento cui segue la morte fisica; preludio «sine qua non» della Resurrezione, del Giudizio e della vita eterna. 33 «in sette cieli»: il sette non indica un valore numerico preciso ma un concetto di pluralità. 34 «un vicario»: il termine (in arabo khalìfa) deriva da un verbo che significa rilevare, venire dopo, e pertanto ha assunto il significato di successore, vicario, luogotenente. Nello Stato Islamico fondato dall’inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) vennero così chiamati coloro che via via esercitarono le funzioni politiche e istituzionali di Muhammad. 35 «le presentò agli Angeli»: presentò loro le creature i cui nomi aveva insegnato all’uomo. – Allah ha dimostrato agli angeli che non c’è scienza se non in Lui. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) realizza il Suo disegno su Adamo; insegnandogli i nomi delle cose, gli dà la possibilità di conoscerle, identificarle, utilizzarle. Attraverso la conoscenza dei «nomi» si realizza la supremazia della natura umana su qualsiasi altra natura creata. Allah diede vita ad Adamo soffiando in lui «del Suo spirito» e questo fatto fece sì che egli potesse acquisire le capacità logiche, induttive e deduttive che caratterizzano la mente umana. 36 Iblìs non è un angelo decaduto ma un jinn (vedi xvm, 50). A proposito della prò sternazione degli angeli e del rifiuto di Iblìs (vedi anche vii, xv, xvn, xviii, xx, xxxvm, 74). 37 L’uomo è creatura finita, imperfetta, effimera e caduca. La sua esaltazione sta nella sua condizione di «servo di Allah»: il limite dell’«albero» è il segno della sua inferiorità, della necessità della sua sottomissione, della sua obbedienza al suo Creatore e Signore. 38 L’inimicizia di cui parla il versetto si riferisce a quella sempiterna tra gli uomini e i dèmoni e non già tra l’uomo e la donna come si potrebbe equivocare. 39 «Adamo ricevette parole»: Allah gli insegnò la maniera di pentirsi. La capacità di pentirsi è già un segno della misericordia di Allah. A questo proposito vedi anche sura ix, Secondo un hadith citato da al Bayhaqì, ‘Umar Ibn al Khattàb disse: «Quando Adamo si pentì della sua colpa disse: “Mio Signore, ti chiedo di perdonarmi per il diritto di Muhammad”. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) disse: “Come conosci Muhammad se ancora non l’ho creato?”. Rispose: “Quando mi hai creato con la Tua mano e hai soffiato in me del Tuo Spirito ho alzato la testa e ho visto che sul basamento del Tuo trono era scritto ‘Non vi è altro dio all’infuori di Allah e Muhammad è l’Inviato di Allah’. Ho dunque capito che, a fianco del Tuo nome, non avresti posto altro che il nome della creatura che ami di più”. Allah disse: “O Adamo, dal momento che hai chiesto nel suo nome, ti ho perdonato, poiché se non fosse per Muhammad, non ti avrei nemmeno creato”». 40 Allah preannuncia la Rivelazione. 41 «e rispetterò il vostro»: nel senso di «rispetterò le promesse che vi ho fatto». Vedi più sopra nota al vers. 42 «ciò che ho fatto scendere»: il Corano. 43 «quello che già era sceso su di voi»: le Scritture rivelate in precedenza. 44 «orazione, decima»: vedi Appendici e 45 II versetto è rivolto a coloro che predicano il bene e non lo compiono. In particolare sono i rabbini e i saggi cristiani quelli che vengono presi di mira. Essi conoscono le Scritture e non le applicano. 46 Sommando il tempo necessario per assolvere correttamente alle orazioni giornaliere, ci si accorge che esso può essere contenuto in una mezz’ora complessiva: 1/della giornata che Allah ci concede: non è certamente da questo punto di vista che essa è gravosa. I movimenti e le stazioni che ne sono l’aspetto esteriore, sono tali da essere facilmente compiuti da chiunque sia in condizioni fisiche normali. In caso di malattia o altro impedimento è prevista tutta una serie di facilitazioni che giungono fino all’assolvimento dell’orazione con i soli movimenti delle palpebre. Quindi non è neppure sotto questo aspetto che può essere considerata gravosa. Le formule e i versetti da recitare possono essere facilmente appresi con poche ore di studio da chiunque e non ci sono particolari necessità di spazio o ristrettezze temporali. La pesantezza dell’orazione è quella dell’abito mentale che deve indossare chi si rivolge al suo Signore con devozione e costanza. È l’abito della sottomissione ad Allah e all’insegnamento del Suo Inviato. È l’intima certezza che il massimo della dimensione umana si realizza quando, nella prosternazione, la testa del fedele è bassa, bassissima, la fronte è a terra e lo spirito al suo culmine. Abbassare la testa, inchinare con metodo e convinzione la scatola dell’intelligenza, il contenitore dei pensieri, l’archivio della memoria, questa è la difficoltà della prosternazione. Quando l’io pretende di essere più grande di Dio certamente l’orazione è gravosa, ma quando l’uomo è umile di fronte al suo Signore, quando riesce a scorgere anche solo una scintilla della Sua Grandezza, allora l’orazione è davvero il momento in cui la natura umana giganteggia e si eleva verso una forma angelicata. L’orazione è un rifugio per l’uomo di fronte alla fatica del vivere quotidiano. Insieme all’orazione Allah ci raccomanda la virtù della costante pazienza, la ferma sopportazione delle avversità. Nel Corano viene citata volte (vedi n, xvi, cııı, 3). 47 Nel Giorno del Giudizio. 48 Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ricorda agli ebrei la Sua benevolenza e la grande tradizione profetica di cui li fece destinatari. 49 «Essi non saranno…»: i malvagi. 50 II versetto si riferisce alla servitù degli ebrei in Egitto e alla loro liberazione attuata per il tramite della missione che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) affidò a Mosè. La storia di Mosè, e le storie di molti altri Profeti, ricorrono molte volte nel Corano, a volte in maniera estesa, più spesso in modo sintetico. 51 «e voi vi prendeste il Vitello»: lett. adottaste il Vitello, così come si dice «adottare un bambino». Cfr. ıı, Si deve intendere «vi prendeste il Vitello a guisa di divinità»; è evidente che si tratta del Vitello d’oro. 52 «il Discrimine» (al-Furqàn): lo strumento per distinguere il vero dal falso. Con questo termine si designa spesso la Scrittura (la Torâh o il Corano). 53 «e datevi la morte»: a proposito di quest’ordine sono state avanzate diverse spiegazioni: una interpretazione parla di «al-nafs» (anima bestiale), contrapposta ad «ar-rùh» (Spirito, anima di essenza divina) e afferma che venne comandato agli ebrei di uccidere la loro anima bestiale. Un’altra interpretazione si basa sull’esegesi di Ibn ‘Abbas che disse: «In seguito ad un ordine ricevuto dal suo Signore, Mosè ordinò al suo popolo “Uccidetevi!”. Allora quelli che si erano abbandonati all’adorazione del Vitello si misero da parte, si sedettero e gli altri brandirono i coltelli. Scese su di loro una notte profondissima e cominciarono ad uccidersi l’un l’altro finché l’oscurità non si dissipò. Ci furono settantamila vittime. Tutti quelli che furono uccisi e tutti quelli che sopravvissero furono perdonati». 54 «cambiarono la parola»: cambiarono «hitta» (perdono) con «hinta» (grano) o «habba» (granaglia) (Tabarî, ı 304). 55 «dodici fonti, e ogni tribù…»: i dodici figli di Israele diedero origine ad altrettante tribù che si riconobbero in questa fase dell’esodo (vedi Esodo, xvn). 56 Secondo alcuni esegeti è anche possibile tradurre: «tornate in Egitto». 57 «e uccidevano i profeti…»: allusione a Zakariyâ, a Yahyâ (Giovanni Battista), ecc. (pace su di loro). 58 Non si potrà utilizzare questo versetto per rivendicare una sorta di atteggiamento di tipo irenistico o, peggio ancora sincretista, da parte della dottrina islamica. Tutta l’esegesi afferma che esso si riferisce a quelli che vissero prima della rivelazione del Corano e della missione profetica affidata a Muhammad (pace e benedizioni su di lui). Non c’è nessuna alternativa allTslàm (vedi m, 85). Ciononostante il versetto stabilisce tolleranza e rispetto per i seguaci di un culto monoteista. Grazie a questo atteggiamento da parte islamica, abbiamo visto nella storia la pacifica sopravvivenza di comunità autoctone di «gente del Libro», in tutti (o quasi) i paesi conquistati dai musulmani e islamizzati. Sorte ben diversa subirono purtroppo i musulmani di Sicilia e di Spagna dopo le riconquiste cristiane. 59 «ed elevammo il Monte»: il Monte per antonomasia: il Sinai. 60 «quello che vi abbiamo dato»: la Toràh. 61 «Siate scimmie reiette.» Secondo una tradizione si sarebbe trattato di un gruppo di ebrei che vivevano sul golfo di Aqaba, ai tempi di Davide (pace su di lui). Si lasciarono tentare da una facile pesca nel giorno di sabato. La trasformazione può essere intesa in senso fisico (in questi termini l’hadith) ma ancora di più in senso morale e testimoniereb- be il baratro di abiezione in cui sprofonda l’uomo a causa della sua disobbedienza ad Allah. 62 «una giovenca»: vedi nota 63 Incontriamo per la prima volta un’espressione contenente l’Isti’àdha, la formula della protezione: «A ‘ûdhu billâhi min a sh-shaytâni ar-rajìm» (mi rifugio in Allah da Satana il lapidato). A proposito della sua origine, la tradizione riferisce un commento di Ibn ‘Abbàs che disse: «Quando Gabriele scese la prima volta su Muhammad (pace e benedizioni su di lui) gli disse: O Muhammad, di’: Mi rifugio in Allah, l’Udente, il Sapiente contro Satana il lapidato”, e poi gli disse: Leggi in nome del tuo Signore che ha creato…” (cfr. xcvı, 1-5). 64 «rallegri la vista»: lett. che piaccia a quelli che la guardano. 65 «Volete dibattere.» La seconda persona plurale è utilizzata per riferire quello che costoro si dicono gli uni agli altri. Gli ebrei non accettano di riconoscere che il Corano è la Rivelazione di Allah (vedi ıı, 14). 66 Secondo la tradizione questo versetto fu rivelato in seguito a questo episodio della vita dell’Inviato di Allah riferito da ‘Ikrima: «Gli ebrei si erano riuniti per polemizzare con il Profeta (pace e benedizioni su di lui). Dicevano che il Fuoco li avrebbe toccati solo per un numero ben delimitato di giorni, dicevano quaranta giorni e aggiungevano che altri uomini avrebbero preso il loro posto nel Fuoco e, così dicendo, indicavano l’Inviato di Allah e i suoi compagni. Il Profeta rispose loro: “Mentite! Voi vi resterete in eterno, noi non prenderemo il vostro posto e non vi raggiungeremo”». 67 È bene inquadrare storicamente questo versetto: Ibn ‘Abbâs, As-Suûdi e Ibn Zayd hanno detto che questo versetto allude agli ebrei di Medina che si lasciavano coinvolgere nei conflitti che scoppiavano tra i clan arabi ai quali erano alleati. Ibn ‘Abbâs ha così commentato «Significa: Date man forte agli idolatri per opprimere i vostri correligionari con crimini ed ostilità fino al punto di spargere il loro sangue e scacciarli dalle loro case. Allah ricorda loro che la Toràh proibiva che si facessero la guerra gli uni agli altri come esigeva che riscattassero quelli che erano stati fatti prigionieri dai nemici. In quel tempo a Medina c’erano due schieramenti, da un lato i Banì Qaynuqà’ alleati dei Khazràj (clan arabo) e dall’altro i Banì Nadir e i Banì Quraydha alleati degli Aws (l’altro clan arabo). In caso di conflitto tra i Khazrâj e gli Aws i rispettivi alleati ebrei entravano in campo e combattevano contro i loro fratelli di religione e versavano il loro sangue (…) Quando il conflitto era terminato riscattavano quelli dei loro che erano stati fatti prigionieri, obbedendo in questo alla Toràh. Agendo in questo modo rispettavano una parte della Scrittura e ne trasgredivano un’altra». 68 «in questa vita»: il termine è «dünyâ» cioè basso, per cui la traduzione letterale dovrebbe essere: «il basso» (della vita). 69 Gesù, (pace su di lui) è Inviato di Allah, amato e riverito da tutti i musulmani. 70 «lo Spirito di Santità»: «ar-Rùh al-qudus»; con questo nome viene qui indicato l’angelo Gabriele (pace su di lui). Il termine santità va comunque inteso nel senso di «purezza», infatti solo Allah è «il Santo». 71 «cuori sono incirconcisi»: nel senso di «cuori miscredenti». La circoncisione è intesa come iniziazione all’alleanza con Allah. 72 Disse Ibn ‘Abbàs: «Gli ebrei di Medina chiedevano ad Allah l’aiuto di un Inviato contro gli Aws e i Khazràj [clan arabi medinesi] e ciò prima che giungesse. Quando poi Allah lo suscitò tra gli arabi, lo rifiutarono». 73 «E rinnegano il resto»: cioè il Corano, che conferma la Toràh. 74 «perché in passato avete ucciso i profeti di Allah», cfr. l’invettiva di Gesù contro i Farisei e gli Scribi in Matteo xxııı, 29- 75 «vi prendeste il Vitello», vedi ıı, 76 «si abbeverarono al Vitello»: trad. lett. Significa: «si lasciarono andare al culto idolatrico del Vitello d’oro». 77 «per ciò che…»: lett. «hanno messo avanti». Questa espressione ricorre spesso. Le mani, che nella vita terrena credono di agire e fare, in realtà non fanno altro che preparare la ricompensa o il castigo nella vita ultima. 78 «associatori»: nel Sacro Testo «mushrikùn». Questo termine indica tutti coloro che oltre ad Allah, o in vece Sua, adorano divinità, intermediari, semidei inventati dall’uomo. 79 «lo [il Corano ] ha fatto scendere nel tuo cuore.» 80 «si gettarono alle spalle il Libro di Allah»: lo rifiutarono categoricamente. 81 Gli ebrei di Medina consideravano Salomone (pace su di lui) una sorta di re-mago e, conformemente a quanto si legge nel Libro dei Re (I Re 1-13), lo accusavano di essersi lasciato irretire dalle donne abbandonando il culto del Dio Unico. Con la rivelazione coranica Allah (gloria a Lui l’Altissimo) prende le difese del Suo Profeta e ristabilisce la verità. La tradizione islamica racconta che Salomone, con il potere che Allah gli aveva concesso, aveva soggiogato i dèmoni. Aveva fatto seppellire i loro libri della magia sotto il suo trono e li costringeva a lavorare per lui. Il versetto prosegue accennando alla storia di Hârût e Mârût. La tradizione ce ne parla come di due angeli che schernivano gli uomini per la loro debolezza e che furono messi alla prova da Allah. Inviati sulla terra, cedettero alla libidine e furono condannati ad espiare la loro colpa appesi per i piedi in un pozzo di Babilonia. La tradizione islamica fa risalire a loro l’inizio dell’arte magica, il Corano ci dice che in essa non c’è alcun bene e condanna alla dannazione chi la esercita. 82 Non dite «râ’inâ» ma dite «un dhurnâ»: râ’inâ significa «ascoltaci», ma nel dialetto parlato dagli ebrei di Medina, la stessa parola poteva assomigliare a un’espressione di dileggio. Essi si rivolgevano al Profeta (pace e benedizioni su di lui) utilizzando questo gioco di parole. I musulmani provenienti da Mecca non se ne rendevano conto e rischiavano, imitandoli, di prestarsi al gioco dei nemici del Profeta. Il Corano invita i credenti ad utilizzare un’espressione più rispettosa e non equivocabile (vedi anche ıv, 46). 83 «gente del Libro»: si tratta degli Ebrei e dei Cristiani e di tutti coloro che affermano di riferirsi a una Scrittura rivelata. 84 Allah (gloria a Lui l’Altissimo), si rivolge al Suo Inviato (vedi xvı, lxxxvıı, 6-7). 85 «Vorreste»: «o musulmani»; «il vostro Messaggero»: Muhammad. 86 «come in passato fu interrogato Mosè»: forse la gente chiese anche a Muhammad (pace e benedizioni su di lui) di mostrare loro il volto di Allah (vedi ı, oppure il riferimento è all’interrogatorio cui fu sottoposto a proposito del sacrificio della giovenca (vedi ıı, 67-73). 87 Allah mette in guardia in merito all’ostilità che appartenenti a tradizioni precedenti avranno per coloro che seguiranno la predicazione di Muhammad (pace e benedizioni su di lui). Non si tratta, sia chiaro di un’ostilità dovuta a ragioni spirituali ma di potere. L’Islam, con la sua intransigenza etica, tradizionalmente consolidata, si pone a tutt’oggi come la sola speranza di liberazione dell’uomo da tutte le forme di dominazione umana. Quando ci si riconosce servi di Allah, non si può essere servi dell’uomo, delle sue ideologie, delle sue merci, delle sue passioni, delle sue illusioni. 88 «orazione, decima»: vedi Appendici e 89 «i giudei e i nazareni»: gli ebrei e cristiani. Nella traduzione abbiamo preferito utilizzare questi due termini per ragioni di fedeltà al testo coranico. Il termine «giudei» deriva da Giuda, uno dei figli di Giacobbe; «nazareni» deriva da Nasira (Nazareth), città in cui Gesù era vissuto con la sua famiglia. 90 In base a questo versetto alcuni sostengono che anche l’orazione compiuta con un errore di orientamento (qiblah) è comunque valida. Quello che conta è sempre l’intenzione di assolverla correttamente, per ottenere il compiacimento di Allah. Secondo un altro parere l’orazione è valida solo se ci si accorge dell’errore dopo l’inizio del tempo dell’orazione successiva, mentre se ci si accorge dell’errore in tempo utile è necessario ripeterla. 91 «Allah si è preso un figlio»: netto e lapidario il versetto smentisce le affermazioni dei cristiani a proposito della «paternità divina». Nelle lingue semitiche i termini che per noi indicano inequivocabili rapporti di consanguineità o di parentela (come padre, madre, figlio, fratello, sorella) hanno significati più generali e complessi. Il Corano proibisce l’uso dell’espressione «figlio di Allah» perché foriera di equivoci. 92 «Gloria a Lui»: «Subhàna Allah», esclamazione molto usata con la quale si esprime meraviglia, ammirazione, stupore, si ribadisce la prevalenza di Allah (gloria a Lui l’Altissimo). 93 «ti abbiamo inviato»: (O Muhammad). 94 «non ti sarà chiesto conto»: il Messaggero (pace e benedizioni su di lui), ha solo la responsabilità di trasmettere il Messaggio di Allah, non dovrà rendere conto delle azioni degli uomini che lo hanno ascoltato. 95 «Fornace», vedi nota a ıı, 96 Come già in ıı, Allah (gloria a Lui l’Altissimo), informa il Suo Inviato (pace e benedizioni su di lui) in merito all’atteggiamento che molti fedeli ebrei e cristiani avranno nei suoi confronti (e in quelli dell’Islam). Inevitabilmente la nuova rivelazione e la conseguente predicazione sarebbero state viste come “concorrenti” e foriere di un rime- scolamento degli equilibri religiosi presenti. Per tali ragioni colui il quale è stato destinato ad esserne il latore sarebbe stato vittima di incomprensione, ostracismo e persecuzione a meno di rinunciare alla missione affidategli. La parte finale del versetto e il succ. v. sono un severo monito a non lasciarsi intimidire. 97 Gli ebrei e i cristiani rispettosi di Allah e delle Scritture che Egli ha voluto rivelare loro, non possono esimersi dal prestare fede alla rivelazione coranica. 98 In questo versetto viene tratteggiata la solitudine dell’uomo nel Giorno del Giudizio. A nulla serviranno il potere e le ricchezze godute nella vita terrena. 99 «lo provò con i Suoi ordini»: lett. «lo provò con certe parole»; la prova è probabilmente quella di sacrificare Ismaele, vedi xxxvıı , 100- 100 «[il Signore] disse», «disse Allah»: nel Corano solo «disse». La maggior parte dei dialoghi riferiti non hanno alcun elemento scenico: ogni replica è introdotta dal «disse» senza menzionare il soggetto. Ogniqualvolta inseriremo un’aggiunta che riteniamo indispensabile alla corretta comprensione del testo, la metteremo in parentesi quadra […]. 101 «un imâm»: il termine di imâm (dalla radice ‘amama, «star davanti»), che nel contesto di questo versetto significa un esempio di perfetto monoteismo, si applica comunemente a chi dirige orazione congregazionale (salâ al-jamà), nonché, in senso eminente, a colui che, per via delle sue eccellenti qualificazioni, assuma una funzione di guida nei confronti della comunità. L’espressione «i quattro imam» designa per antonomasia i fondatori delle quattro scuole giurisprudenziali sunnite, cioè Abû Hanîfa, Mâlik ibn Anas, Ash-Shâf î e Ahmad Ibn Hanbal. 102 «Casa»: la Santa Ka‘ba della Mecca, il luogo del pellegrinaggio. 103 «in cui Abramo ristette»: in preghiera? (lett. Makâm Ibrâhîm: il posto di Abramo). 104 «vi gireranno attorno»: allusione al Tawàf (la circoambulazione) del Pellegrinaggio o dell’Umra (la visita ai Luoghi Santi). 105 «vi si ritireranno»: lo I’tikàf (il ritiro) nelle moschee è una Sunna particolarmente meritevole negli ultimi dieci giorni del mese di Ramadan. 106 «si inchineranno e…» nella salât. 107 «Colui che tutto ascolta e conosce»: l’Audiente, Sapiente (al-Samì ‘al-‘Alìm). 108 «dei musulmani e…», «una comunità musulmana», e poi al vers. «se non musulmani»: si potrebbe anche dire «sottomessi/a» ma abbiamo preferito la traduzione più letterale in quanto chiara dimostrazione che tutta la rivelazione di Allah (gloria a Lui l’Altissimo) si inquadra nello stesso divino disegno dell’IsIàm, la sottomissione ad Allah. 109 «i Tuoi versetti»: «ayât»: versetti, segni. La parola «aya» indica qualsiasi manifestazione dell’intervento di Allah. I fatti che accadono nella vita sono degli «ayât»; anche ogni versetto rivelato lo è, e così pure il racconto di un miracolo o di una catastrofe o la definizione di un precetto. 110 «Forse eravate presenti»: come dire: «voi che non credete certamente non eravate presenti». Allah (gloria a Lui l’Altissimo) si rivolge a quegli ebrei e cristiani che riconoscevano la tradizione Profetica della famiglia di Abramo ma rifiutavano di credere nel Messaggio recato da Muhammad (pace e benedizioni su di lui). 111 «era puro credente e non associatore»: i due termini sono assolutamente antitetici: «puro credente (hanìf) significa monoteista (in origine «sincero»), l’associatore invece è un fabbricatore di dèi, colui che associa qualcosa alla Unicità di Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Il messaggio coranico è chiaro: ebraismo e cristianesimo sono religioni che hanno alla loro origine una Rivelazione divina ma gli ebrei e cristiani si sono allontanati dalla verità alterando i princìpi della loro religione e non hanno voluto riconoscere nel Corano il prosieguo, il coronamento e la conclusione della profezia. Ricollegandosi direttamente al padre Abramo, i musulmani evitano di ereditare tutte le deviazioni e le miopie. 112 «sulle Tribù»: le dodici tribù di Israele che ebbero origine dai dodici figli di Giacobbe (Israele), figlio di Isacco, figlio di Abramo. 113 «la tintura di Allah»: il termine arabo sibghah che abbiamo tradotto con «tintura», sta a significare secondo Ibn Abbas la religione. Egli disse: «as-sibghah non è altro che la religione di Allah». Secondo altri commentatori si tratta della fitra, della natura profonda che Allah ha dato al genere umano, la religione naturale: la sottomissione a Lui. 114 Nessuna polemica tra la «Gente del Libro». Esiste un solo Dio ed è il Dio di tutti quanti. Per quanto riguarda il giudizio sul modo di rapportarsi a Lui, ognuno risponderà delle sue azioni. 115 «Vorreste forse sostenere…»: ebraismo e cristianesimo sono forme di culto successive ad Abramo, ai suoi figli, ai suoi nipoti. Qualsiasi tentativo di legittimarle in opposizione all’IsIàm è prodotto dall’ignoranza («Ne sapete forse più di Allah?») o dalla malafede («Chi è peggior empio di chi nasconde qualcosa che ha ricevuto da Allah?»). 116 «l’orientamento»: la qiblah, la direzione verso la quale ci si rivolge durante l’orazione (vedi Appendice 2). Nei primi mesi che seguirono l’Egira, i musulmani avevano per «qiblah» Gerusalemme poi, dopo dieci mesi secondo alcuni o dopo sedici secondo altri, Allah ordinò che si girassero verso la Ka‘ba, il tempio al Dio Unico edificato da Abramo e Ismaele nel luogo in cui sarebbe sorta la città di Mecca. Quando avvenne questa modifica nell’orientamento rituale, i nemici dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) ne fecero un argomento di derisione e scherno. Vedi nota 117 «equilibrata»: con questa espressione abbiamo tradotto «wasatà» che in arabo implica i concetti di media, moderata, equilibrata. È il concetto romano di «aurea medio- critas» che non c’entra niente con la «mediocrità» come è intesa nell’attuale accezione. Questo concetto di equilibrio è molto importante nell’IsIàm. La dottrina islamica e tutto ciò che essa informa, diritto, etica, norme consuetudinarie, è improntata al rifiuto dell’estremismo, della radicalità, del fanatismo. Solo l’equilibrio tra gli elementi che costituiscono l’uomo: lo spirito, l’intelletto e il corpo, potranno dare pienezza e serenità all’individuo, alla famiglia in cui vive, alla comunità di cui fa parte. 118 Allah (gloria a Lui l’Altissimo) conferma di aver voluto rispondere all’aspettativa del Suo Inviato (pace e benedizioni su di lui). Dopo aver cercato di convincere gli ebrei e i cristiani di Medina che il Corano confermava e superava la loro Legge e che l’IsIàm era «la religione», Muhammad sentiva che erano maturi i tempi di dare un segno certo del ritorno alla purezza iniziale del culto abramico. Quale miglior segno se non quello di rivolgersi verso il Tempio che lo stesso Abramo e suo figlio Ismaele avevano costruito? Il fatto era avvenuto in maniera netta e clamorosa. L’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) stava guidando l’orazione del mezzogiorno nella casa di Bishr ibnu Barà, quando a metà dell’orazione, ricevette il seguente vers. e, abbandonando l’orientamento verso Gerusalemme, si volse in direzione della Ka‘ba. Quando poi vennero inviati messi per informare tutti i credenti a proposito di questo fatto, essi giunsero presso alcune comunità mentre erano riunite in preghiera. Essendo rivolto a Nord l’imam si alzò, risalì le file degli oranti per compiere una rotazione di che lo ponesse con fronte a Sud, in direzione della Mecca. Questo fatto provocò un minimo di scompiglio e la gente dovette riallinearsi. Le tradizioni ci hanno riferito questi episodi con grande precisione. 119 «Sacra Moschea»: AI-Masjid Al-Haràm, Masjid significa luogo in cui si pratica il sujud, la prosternazione dell’orazione. 120 «Coloro… lo riconoscono»: gli ebrei e cristiani che sono consci del fatto che Muhammad (pace e benedizioni su di lui) è il Messaggero di Allah, ma non vogliono ammetterlo. Vedi nota a vı, 121 Vedi nota a ıı, 122 «una direzione»: si tratta sempre dell’orientamento rituale di cui ai versetti precedenti. 123 «la Santa Moschea»: la Ka‘ba (vedi nota 117). 124 «non abbia pretesti contro di voi»: se i musulmani non avessero accettato la nuova qiblah, questo fatto avrebbe certamente scatenato polemiche nei loro confronti. 125 «Invero Allah è con coloro che perseverano»: «inna Allâh ma‘as-sâbirîn». Questa espressione molto nota e usata in tutto il mondo islamico, testimonia di un atteggiamento che spesso la cultura occidentale ha definito «fatalismo islamico». In realtà è frutto della tranquilla coscienza che tutto quello che accade è volontà di Allah, ed accade per il bene del credente, in questa vita e nell’altra. Se è pur vero che in alcuni casi è stato l’alibi per condotte rinunciatarie e ignave, è altrettanto vero che in generale ha preservato da due delle grandi malattie contemporanee, la disperazione e la nevrosi. 126 «sulla via di Allah» («fî sabîl Allàh»): sul sentiero di Allah, per la causa di Allah, al servizio di Allah. 127 La vera morte è quella dello spirito e, in tal caso, non sono certamente morti coloro che sono caduti combattendo per la causa di Allah. Nell’Islâm sono chiamati «shuha- dà’» (sing. shahìd) (il termine deriva da un verbo che significa testimoniare) che tradurremmo con «martiri» (coloro che hanno testimoniato la loro fede con l’estremo sacrificio). Cfr. ııı, 169- 128 Allah non promette vita facile ai credenti, tutt’altro! Il musulmano dà prova della sua fede accettando con dignitosa rassegnazione quello che il suo Signore ha deciso per lui. 129 «Ebbene da’»: (o Muhammad!). 130 «coloro che perseverano»: un altro significato di «sabr»: perseveranza. 131 «Siamo di Allah e a Lui ritorniamo»: questa espressione è la sintesi di quello che è l’atteggiamento del credente di fronte alla morte e alla disgrazia. L’accettazione della volontà di Allah (gloria a Lui l’Altissimo), si trasforma in forza e serenità per il musulmano. 132 «Safâ e Marwa»: Safâ (la Roccia) e Marwa (la Pietra) sono due colline che si trovano all’interno del recinto del Masjid al Harâm di Mecca. Il «correre tra» di cui si parla nel testo è il «Sa‘ì», uno dei riti fondamentali del Hajj, il Pellegrinaggio e della ’Umra, la visita ai Luoghi Santi (vedi Appendice 5). Questo rito commemora e rivive la storia di Agar che Abramo, per volontà di Allah, abbandonò in quel luogo insieme al figlioletto Ismaele. Quando l’otre che Abramo aveva lasciato fu vuoto, Agar presa dall’ansia e dal timore di vedere morire di sete Ismaele, corse tra Safâ e Marwa, nella speranza di poter avvistare qualcuno a cui chiedere aiuto. Al settimo percorso Allah fece sgorgare la fonte di Zamzam che li salvò dalla morte e rese possibile la vita in quell’arida valle dell’Hijàz. Immemori del significato, ma fedeli al rito, gli Arabi avevano continuato a compiere questi sette percorsi. Il versetto scese per fugare i dubbi dei musulmani a proposito di questa pratica rituale. 133 In base ad una tradizione questo sarebbe uno dei versetti in cui si trova il Nome Sublime di Allah. Vedi Appendice (vedi anche ııı, 1-e xxı, 163). 134 «i seguiti sconfesseranno i loro seguaci»: i capi non si assumeranno la responsabilità dei peccati dei loro accoliti. 135 La similitudine risponde ad un angoscioso interrogativo che spesso il credente si pone: «perché molti non recepiscono il messaggio di Allah quando lo ascoltano?». La risposta è chiara: è inutile dare a chi non ha capacità di ricevere. La traduzione del versetto è stata formulata in base all’interpretazione del Tabarì (ıı, 79-83). 136 Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ci proibisce tutto quello che è un male per noi. In moltissime lingue il maiale è sinonimo di sporcizia fisica e morale. Maiale, maialata, porco, porcheria, porcata, porcile, troia, troiata: quanto di peggio possa esprimere il comportamento umano viene espresso con colore ed efficacia per mezzo di questi termini. Basterebbe questa semplice considerazione per rendere l’idea della ripugnanza che dovrebbero ispirare le carni suine. Purtroppo la grande convenienza economica dell’allevamento fa sì che i non musulmani se ne cibino, con grave pregiudizio per la loro salute fisica c spirituale. 137 II Corano condanna severamente coloro che, conoscendo la Parola di Allah, ne dissimulano una parte o ne fanno simonia. 138 «si allontanano nello scisma»: lett. «sono in uno scisma lontano». 139 La carità è amore di Allah, non formalismo ma fede sincera, generosità, devozione, obbedienza, senso dell’onore, pazienza. 140 «il contrappasso»: abbiamo scelto questo termine per tradurre «al-qişâs» piuttosto che quello usuale di «taglione» in accordo con le considerazioni di uno dei massimi traduttori e commentatori contemporanei del Santo Corano, il prof. Yusuf Alì. Il taglione era un istituto giuridico rozzo e feroce, per il quale ad esempio non si distingueva tra omicidio volontario, involontario e preterintenzionale. In base alla legge islamica (sharia) il «qisàs» si applica solo per l’omicidio volontario. 141 In questo versetto vengono stabiliti tre princìpi giuridici di grandissima importanza. Mentre nelle culture primitive tutta la famiglia o il clan dell’uccisore subiva la vendetta della gente dell’ucciso, l’IsIàm afferma il principio della responsabilità personale. Il secondo riguarda la vendetta, che deve essere proporzionata all’offesa subita. Il terzo quello della remissione mediante indennizzo. 142 II valore deterrente della legge del contrappasso è evidente. Chi si fosse macchiato di una colpa grave contro la persona, omicidio o lesioni gravi, non avrebbe più potuto sperare nella solidarietà tribale per sfuggire alla vendetta (magari scatenando una faida sanguinosa). 143 «lo altererà dopo averlo ascoltato»: è il caso delle disposizioni testamentarie rese verbalmente. 144 «e ristabilisce la concordia»: tra gli eredi e coloro che sono stati diseredati ingiustamente. 145 «non avrà commesso peccato»: se per far ciò cambia qualcosa nel testamento con il consenso dei beneficiari. 146 «il digiuno» (al-Sawm) si svolge durante il mese di Ramadàn (il nono dell’anno). A causa dello sfasamento tra il calendario islamico (anno lunare di giorni) e quello solare (365-giorni), ogni anno la data di inizio del Ramadàn anticipa di 11-giorni rispetto a quella dell’anno precedente. Vedi anche Appendice 147 «Chi… altrettanti giorni»: «digiuni quando sarà nelle condizioni di farlo». 148 «per coloro che [a stento] potrebbero sopportarlo»: secondo i commentatori sono i credenti in età avanzata o in stato di debilitazione permanente (una malattia cronica ad esempio). Costoro non possono digiunare e non possono neppure sperare di recuperare in seguito. Coloro che invece possono digiunare e non lo fanno, sono soggetti ad una espiazione per ognuno dei giorni che hanno mancato al precetto. L’espiazione consiste nella liberazione di uno schiavo, o nell’impossibilità di farlo, nel nutrire poveri o ancora, non avendone i mezzi, in un digiuno di giorni consecutivi. 149 «Chi di voi ne testimoni [l’inizio]»: l’avvistamento della luna del mese di Ramadàn segna l’inizio del periodo di digiuno. 150 Con questo versetto sono fissati con chiarezza alcuni punti fondamentali del digiuno di Ramadàn. Innanzitutto il fatto che i rapporti coniugali sono leciti nel periodo notturno: «vi è stato permesso di avvicinarvi…» e la maniera in cui devono essere intesi e vissuti questi rapporti, con naturalezza e intima donazione: «esse sono una veste per voi e voi…»; poi il momento in cui iniziare l’astinenza. A questo proposito, nonostante che il testo dica: «… finché all’alba possiate distinguere il filo bianco dal filo nero», si deve intendere: «finché possiate scorgere ad oriente il filo bianco della luce dell’alba, distinguendolo dal filo nero [della notte]». Inoltre, viene istituita la pratica dell’i‘tikàf, il ritiro nella moschea: una pratica devota per trascorrere nella maniera migliore gli ultimi dieci giorni di Ramadàn. 151 La corruzione è un flagello che affligge le società, essa corrode profondamente il tessuto etico-sociale, semina prevaricazione e sfiducia. In certi paesi essere giudice è la maniera più rapida e meno rischiosa per arricchirsi. Ed era già così al tempo dell’inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), Egli disse: «Su tre giudici due conosceranno il castigo dell’inferno e solo uno entrerà in Paradiso». 152 «ti interrogano sui noviluni»: in questo fatto non ci sono magici arcani ma solo un fatto astronomico di grande importanza per la scansione del tempo. 153 «il Pellegrinaggio»: l’Hajj, vedi Appendice 154 «entrare in casa dalla parte posteriore»: prima della predicazione di Muhammad (pace e benedizioni su di lui), i pellegrini in stato di sacralizzazione non osavano rientrare nelle loro case prima di aver esaurito i riti del pellegrinaggio. In caso di urgenza entravano per una porta posteriore o una finestra. 155 «la persecuzione»: il termine che, in questo caso traduciamo con persecuzione è in arabo «fitna». Una parola pesante come una montagna e che presenta grandi difficoltà di traduzione. Non abbiamo trovato di meglio che formulare questa lunga (e senz’altro non esaustiva) definizione: «fitna»: tutti i fenomeni, i comportamenti e le intenzioni connessi a persecuzione, sedizione, sovversione, scandalo, vizio, inquinamento, corruzione, discordia, disordine, disobbedienza, ribellione, contro Allah, le Sue leggi, le Sue creature. 156 «Se desistono, non ci sia ostilità»: la guerra è un aspro dovere da compiere per amore di Allah, non è un mestiere, non è una ragione di vita. E, soprattutto, non è la distruzione del nemico l’obiettivo dei credenti, ma la cessazione della fitna (oppressione-persecuzione, vedi sopra nota al vers. 191), escludendo in seguito qualsiasi genere di rappresaglia. 157 «Mese sacro»: «Se il nemico rispetta la tregua del mese sacro, fatelo anche voi». Già in epoca «jahilì» (lett. dell’ignoranza: anteriore alla predicazione e all’affermazione dell’IsIàm) gli arabi osservano una tregua durante i mesi di Dhû ‘Qa‘da, Dhû ‘Hijja, Muharram e Rajab (xı, xıı, ı e vıi). Il Corano ribadisce però che in caso di attacco la difesa è sacrosanta. 158 «per ogni cosa proibita un contrappasso»: tutto quanto ha a che fare con i sacri riti è in qualche modo protetto dalla legge del contrappasso (Tabarì ıı, 198). Il termine «haram» intende in questo caso qualsiasi violazione degli interdetti rituali. Vedi Pellegrinaggio nell’Appendice In generale harâm significa divieto, proibizione. La moschea di Mecca che ospita la Sacra Ka‘ba si chiama appunto «Al-Masjid Al-haram» espressione che traduciamo «la Moschea Santa» (vedi xvıı,l) e che potrebbe intendersi come «la moschea degli interdetti», riferendoci alle proibizioni rituali connesse con il Pellegrinaggio o la ’Umra. 159 «Pellegrinaggio e Visita»: vedi Appendice 160 «nei mesi ben noti»: cioè nei mesi di Shawwàl, Dhù ‘1-Qa‘da e Dhù ‘1-Hijja. E possibile iniziare la Visita dal primo giorno di Shawwàl in poi, quindi attendere sino all’ottavo giorno di Dhù ‘I-Hijja per iniziare il Pellegrinaggio. 161 II Corano impone ai pellegrini di prepararsi per il viaggio e il soggiorno, sia spiritualmente che materialmente. Ben diversamente dalle culture più orientali, in cui il pellegrino è a carico della comunità, la dottrina islamica insiste sull’autosufficienza, foriera di dignità personale e di libertà dell’individuo. 162 «cercherete di guadagnarvi la Grazia»: secondo la maggior parte dei commentatori, questa espressione coranicamente molto frequente, significa l’acquisizione di qualche bene materiale mediante il commercio, il cui profitto altro non è che il segno della Grazia di Allah. In base a questo versetto il commercio del pellegrino durante il Pellegrinaggio è considerato lecito. 163 «‘Arafa»: la valle in cui si trova la Montagna della Misericordia. In questo luogo i pellegrini stazionano nel ix giorno del mese di Dhù ‘1-Hijja, pregando e chiedendo perdono ad Allah dei loro peccati. 164 «il Sacro Monumento»: si trova a Muzdalifa; è il luogo in cui, durante il Pellegrinaggio, si trascorre la notte del di Dhù ‘1-Hijja. 165 «Fate la marcia»: si tratta di uno dei riti del Pellegrinaggio e consiste nel percorrere a passo di corsa un breve tratto del cammino tra ‘Arafa e Muzdalifa. Questo versetto abolì un privilegio tribale dei Meccani, quello di non recarsi ad ‘Arafa durante il Pellegrinaggio fermandosi a Muzdalifa. Vedi anche Appendice 166 «nei giorni contati»: i tre giorni che seguono quello di ‘Arafâ in cui, durante il Pellegrinaggio, si rimane a Minâ. 167 Oltre ai significati generali, eterni ed universali, questi due ultimi versetti, che prendono di mira coloro che utilizzano la parola per confondere la gente e fare del male, sono stati messi in relazione alla vicenda di un certo al-Aknas ibn Shurayq-th-Thaqîfî, che si recò dal Profeta (pace e benedizioni su di lui), per abbracciare l’Islàm nelle sue mani. La conversione, però era solo un espediente per fare, indisturbato, i suoi affari a Medina. Quando ripartì dalla città del Profeta, predò le colture dei musulmani che trovò sulla via e uccise il loro bestiame. 168 «nella Pace», in arabo Silm, parola che ha la stessa radice di Islàm. 169 Quando, nel Giorno del Giudizio, i miscredenti si renderanno conto della realtà divina, non avranno più la possibilità di modificare il loro destino. 170 Dalla creazione di Adamo, e fino a Noè, gli uomini facevano parte di una sola comunità di credenti. Quando empietà e miscredenza cominciarono a manifestarsi Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ispirò la predicazione di Noè che durò anni (vedi xxıx, e poi inviò il castigo del diluvio. 171 «coloro che credettero»: i musulmani. 172 Credete forse [o musulmani] che… 173 Questo è uno dei versetti più conosciuti da quanti hanno sempre sostenuto la tesi che l’IsIàm sia «la religione della spada» e che i musulmani sono fondamentalmente, dottrinalmente aggressivi. La verità è molto diversa. I musulmani hanno il diritto e il dovere di combattere solo se vengono aggrediti, personalmente o come comunità di credenti (umma islamica). A parte le conquiste islamiche dei primi secoli, che furono in verità delle vere e proprie guerre di liberazione di popolazioni oppresse da regni dispotici e ingiusti, quali erano quello bizantino e quello persiano, ogniqualvolta i musulmani hanno combattuto è stato per difendersi: dalla guerra contro le crociate, tese a ristabilire il dominio cristiano sulla Palestina, alle lotte anticoloniali di questo ultimo secolo, alla resistenza islamica contro i tentativi di deislamizzazione palesi o striscianti. Alcune vicende internazionali (Guerra del Golfo, inverno hanno riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica occidentale comportamenti equivoci e discordanti pareri giuridici a proposito della «guerra per la causa di Allah». Il fatto che due parti in conflitto rivendicassero la loro guerra come «jihàd fi-sabili-llah» (sforzo per la causa di Allah) non significa assolutamente che: di jihàd si trattasse, che le due parti combattessero veramente per la causa di Allah. Non ci si stupisca di ciò. Tutta la storia è costellata di guerre grandi e piccole in cui, in nome della stessa identica concezione di Dio, venivano benedette le armate e le armi degli avversi contendenti. 174 «fitna»: in questo caso il termine ha il significato di «oppressione, persecuzione». Vedi nota a ıı, 175 «coloro che… sono emigrati»: coloro che hanno fatto l’Egira con il Profeta (pace e benedizioni su di lui), o che lo hanno raggiunto a Medina. 176 Ad Allah (gloria a Lui l’Altissimo) piacque che il Corano scendesse sul Suo Inviato (pace e benedizione su di lui) in un arco di tempo lungo ventitré anni. Si trattava infatti di costruire una comunità di credenti che avesse in sé doti di solidità e di coesione eccezionali. Il dato di partenza era davvero infimo. La maggior parte degli arabi della jahiliya (lett. l’ignoranza, la condizione dell’uomo prima che gli giunga la luce della Parola di Allah) avevano stili di vita ed etiche personali particolarmente discutibili. L’abuso di alcool era diffuso e riguardava anche il notabilato delle città. Nella Sua Lungimiranza e Magnanimità Allah (gloria a Lui l’Altissimo) formulò per gradi la Sua legge a proposito dell’ebbrezza. In questa prima «comunicazione» attira l’attenzione sulla nocività spirituale del vino (e del gioco d’azzardo). Poi in ıv, rende incompatibile la condizione dell’ubriachezza con quella necessaria per assolvere all’orazione. Infine con il vers. e della sura v, venne decretato il divieto nella maniera più netta; di conseguenza, i credenti si astennero immediatamente dal consumo di bevande alcoliche. 177 Una donna musulmana non può sposare un non musulmano, vedi anche lx, Per quanto riguarda l’uomo musulmano e la donna non musulmana vedi v, 178 «un danno»: anche «dolore, inconveniente, fonte di male, sporcizia», il termine «adhà» significa tutte queste cose. 179 «nel modo che Allah vi ha comandato»: l’IsIàm considera contro natura il rapporto sessuale per via anale e lo proibisce, come del resto proibisce i rapporti omosessuali. 180 II rapporto che lega un uomo al suo campo, è certamente un qualcosa di complesso e complessivo. Egli può godere della sua bellezza intrinseca, senza però dimenticare gli impegni che esso comporta. Può amarlo per i frutti che produce e allo stesso tempo confortarsi della sicurezza che esso ispira. Il campo, se amato, rispettato, lavorato, curato, dà il meglio di sé. Questo il significato della metafora che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ci offre. 181 «Venite pure al vostro campo come volete»: secondo i commentatori classici questa espressione tende a far tabula rasa di molte superstizioni che gravavano sulla forma dei rapporti sessuali. 182 «ma predisponetevi»: non dimenticatevi che anche l’atto sessuale lecitamente compiuto equivale «a un’elemosina», come ebbe a dire l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), e pertanto iniziatelo in nome di Allah. L’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) suggerì questa invocazione da pronunciare prima di iniziare l’atto coniugale: «Bismì ‘Llàh. Signore, proteggici da Satana e proteggi da lui i figli che ci concederai». Ci sono altre possibilità di comprensione di questa espressione: alcuni commentatori vi leggono l’ordine di compiere correttamente i preparativi dell’atto sessuale e si appoggiano su un hadith nel quale il Profeta (pace e benedizioni su di lui) invitò a farsi precedere, nell’atto sessuale, da un messaggero. Quando gli chiesero di che messaggero si trattasse, citò esplicitamente i preliminari affettuosi dell’atto coniugale. 183 Non è lecito giurare in Nome di Allah, qualcosa che ostacoli la generosità, la devozione, la magnanimità. Vedi nota a xxıv, 184 II diritto islamico ha stabilito norme precise che regolano i giuramenti e puntuali sanzioni per lo spergiuro. Oltre il diritto degli uomini c’è la giustizia di Allah (gloria a Lui l’Altissimo), ed Egli, che conosce la profondità del cuore degli uomini, non ci castigherà per le nostre leggerezze, ma per le intenzioni reali dell’animo nostro. 185 Si tratta in questo caso di una forma di giuramento diffuso nell’Arabia preislamica; un uomo ad esempio diceva: «Giuro di non toccare più mia moglie finché non sarò riuscito a…». Se poi non riusciva ad ottenere quello che voleva, il suo senso dell’onore gli impediva di recedere dal giuramento, danneggiando i diritti alla relazione coniugale della sposa. In base a questo versetto del Corano si è stabilito che, dopo quattro mesi, la moglie ha diritto di chiedere e ottenere il ripristino dei rapporti coniugali oppure il divorzio. 186 «un ritiro della durata di tre cicli»: il periodo di attesa (‘idda) che la donna deve osservare prima di risposarsi. Il Corano utilizza un termine che significa stagione secca e siccome il divorzio è vietato durante il mestruo della donna non c’è dubbio alcuno che la «‘idda» inizierà con la fine del primo mestruo. Un altro autorevole parere sostiene che devono essere contati tre «tuhùr», stati di purificazione: la donna avrà osservato il suo periodo di ‘idda appena iniziato il terzo periodo mestruale, e cioè prima della terza purificazione. Es.: la donna viene ripudiata dopo il mestruo, in stato di purificazione (1), senza aver più avuto rapporti con il marito, ha il primo mestruo a cui segue la purificazione (2), ha il secondo mestruo e la relativa purificazione (3), inizia quindi il terzo periodo mestruale avendo già avuto tre stati di purificazione e pertanto il suo obbligo è assolto. 187 «ma gli uomini hanno maggior responsabilità»: letteralmente «sugli uomini c’è un grado maggiore». Questo versetto può dar luogo a equivoci, in quanto si ha l’impressione che sancisca una disparità tra i diritti degli uomini e delle donne. Tenendo conto che esso è inserito nel contesto di un discorso sui rapporti familiari, si deve interpretare questa superiorità maschile non in senso assoluto, ma relativo all’ambito domestico, posizione maschile che troviamo ribadita anche in iv, con il verbo qaAma (da qiwaAma) che significa occuparsi di qualcosa, prendersene cura. Si tratta quindi di una superiorità relativa a certi ambiti, per l’assunzione di alcuni compiti, mai da intendersi in ogni caso sul piano del valore intrinseco dell’essere femminile e maschile, e mai da espletarsi nel senso di un odioso dominio o di una cieca imposizione. Ben al contrario, l’autorità familiare deve esser basata su concertazione e rispetto reciproci. Le differenze fisiologiche e psicologiche tra l’essere maschile e quello femminile debbono, proprio nella realizzazione della loro diversità, creare uno sviluppo armonico familiare e sociale. La sensibilità maschile è per lo più esteriore, proiettata in un ambito extrafamigliare che tende a diventare pubblico e politico. Quella femminile è per lo più interiore, attenta a se stessa, tesa alla protezione di quanto acquisito o alla acquisizione di semplici mezzi di sostentamento e di sicurezza. La psicologia maschile in generale immaginifica, creativa, sperimentale, amante di un certo rischio, desiderosa di novità di affermazione dell’io, per lo più ampia e superficiale. Quella femminile è invece solitamente concreta, tradizionale, nemica dell’azzardo, desiderosa di certezze, di conservazione del “mio”, il più delle volte profonda e limitata. Nell’ambito famigliare, il rispetto della Legge di Allah e della Sunna dell’Inviato, fa sì che non si creino situazioni tali da esigere un’affermazione di potere che mortifichi la complementarietà dei coniugi. L’abolizione completa della diversità dei ruoli, propugnata in ambito contemporaneo, è altrettanto ingiusta e contro natura che la fissità assoluta di questi. Essere diversi e complementari implica anche l’assunzione, da parte dell’uomo, di un ruolo di guida, che esercitato nel giusto senso, non sva- lorizza l’essere femminile, ma lo completa. 188 «trattenetele… o rimandatele…»: Durante il periodo del ritiro legale il marito può riprendere la moglie precedentemente ripudiata senza altre formalità. Questa facoltà gli è data per due volte. Vedi anche nota 189 «non vi è permesso riprendervi»: in caso di divorzio la moglie trattiene (in alcuni casi incassa) tutta la dote che il marito aveva stabilito all’atto del contratto nuziale. 190 «i limiti di Allah»: in questo caso si tratta della mutua accettazione tra gli sposi. 191 Se la moglie non si sentisse in condizione di continuare la convivenza matrimoniale, può ottenere il divorzio offrendo al marito una compensazione materiale. 192 «non sarà più lecita per lui»: la consuetudine preislamica permetteva agli arabi una pratica vessatoria nei confronti delle mogli di cui volevano liberarsi. Il marito pronunciava un divorzio non definitivo e riprendeva la moglie prima che la ‘idda (il ritiro legale di tre mestrui) fosse trascorso. La cosa poteva andare avanti indefinitamente e mirava a stancare la moglie in modo tale da imporle il pagamento di un riscatto, o la restituzione della dote per ottenere il divorzio definitivo e la libertà di risposarsi.Questo versetto coranico rende impraticabile questa tecnica vessatoria. 193 La rottura di un matrimonio, per quanto possa essere spiacevole e a volte traumatica, si può e si deve fare nel rispetto delle norme consuetudinarie e con la più grande cortesia. 194 «non impedite loro di risposarsi con i loro mariti»: «risposarsi», si tratta dunque di un nuovo matrimonio con l’ex marito dopo aver divorziato da un marito intermediario, oppure è l’esortazione a non impedire il matrimonio delle proprie ex spose una volta trascorso il periodo di «’idda». 195 «allatteranno per due anni completi»: nell’IsIàm, ogni creatura ha i suoi diritti, anche il neonato, che ha diritto al latte e alle cure della madre. Oltre al grande vantaggio psicofisico che il bambino ricava dalla suzione del seno materno si consideri anche che per tutta la durata dell’allattamento permane nella donna una condizione di cosiddetto «conflitto ormonale» che rende diffìcile un nuovo concepimento e l’inizio di un’ulteriore gravidanza. Questo fa sì che sommando i nove mesi della gestazione ai ventiquattro dell’allattamento si arrivi ad un periodo minimo di quasi tre anni tra una gravidanza e l’altra. 196 «per l’erede»: che si deve accollare le responsabilità civili del de cuius nei confronti della madre che allatta. 197 Nella società araba preislamica la vedova si trovava in una condizione molto difficile: era considerata facente parte del patrimonio del marito defunto e poteva venire attribuita in eredità al maggiore dei suoi figliastri, che disponeva di lei come gli pareva. Poteva sposarla egli stesso, lasciarla in condizione di vedovanza o sposarla ad un terzo incassando la dote. 198 «non proponete loro il libertinaggio»: traduzione in base all’interpretazione data da Tabarì (ıı, 522-523). 199 «la dote»: il termine che traduciamo con «dote» è «farìda». Si tratta di uno degli otto termini (mahr, sadàq, nihla, hibâ, ‘ajr, ‘uqr, ‘alàq) che precisano l’esatto significato del denaro e dei doni che intervengono in un contratto nuziale. Ognuno di questi termini ha un significato preciso e indica una particolare situazione. Il «mahr» ad esempio viene versato al padre della sposa, mentre il «sadàq» appartiene alla donna stessa; «‘uqr» è il termine che viene utilizzato in caso di matrimonio con una vergine, «nihla, hibâ e ‘alàq» indicano oltre alla dote anche tutto l’insieme dei doni e delle spese a carico dello sposo. Attribuendo alla donna una personalità giuridica completa, l’IsIàm ha stabilito che la sposa potesse godere pienamente del dono versato dal marito. Non esistono limiti a questo dono che può essere anche molto consistente, anche se è considerata azione pia limitare la pretesa a termini ragionevoli. 200 «colui che ha in mano…»: in base ad una interpretazione che è stata consolidata dal diritto malichita e sciafiita si tratta del tutore matrimoniale della sposa. Gli hanafiti ritengono invece che si tratti dello stesso sposo. In tal caso il versetto significherebbe: «a meno che non rinuncino esse al loro diritto (ad avere la metà della dote) o non rinunci lo sposo al suo (di versare solo la metà e versi pertanto l’intera dote). 201 «l’orazione mediana»: «al-salât al wustà»: secondo la maggior parte dei commentatori si tratta della preghiera del pomeriggio, la terza delle cinque canoniche, a partire da quella dell’alba. Altri, facendo iniziare la giornata al maghrib (tramonto), ritengono che la terza sia quella del «fajr» (l’alba). Altri ancora optano per la preghiera del mezzogiorno. Un’altra opinione pone la questione sotto un altro punto di vista e considera un altro significato di «wusta» e cioè quello di «migliore»; in quest’ottica ogni salât è «wusta». 202 Secondo alcuni commentatori il versetto sarebbe abrogato dal precedente vers.in quanto prevederebbe un anno di ritiro della vedova e non i quattro mesi e dieci giorni di cui sopra. Altri invece, affermano che viene stabilito il diritto della vedova di rimanere almeno un anno nel domicilio coniugale, una specie di usufrutto temporaneo dell’abitazione. Naturalmente dopo ridda prevista dal vers. potranno risposarsi e di conseguenza abbandoneranno anzitempo il domicilio vedovile. 203 Ci sono tre tipi di divorziate, quelle con le quali non è stato consumato il matrimonio e alle quali non è stata fissata la dote il cui trattamento è regolato dal precedente vers. quelle cui è stata fissata la dote ma con le quali non si è consumato il matrimonio che vengono trattate in base al vers. quelle che hanno consumato il matrimonio, la cui dote è stata fissata che dovranno incassarla per intero ed avere ancora qualcosa a titolo di compensazione. 204 «Non hai forse visto»: secondo l’esegesi il Corano allude ad una città abitata da ebrei da cui gli abitanti fuggirono per scampare ad una epidemia. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) li fece morire e li risuscitò. 205 «sulla via di Allah»: vedi nota a ıı, 206 «È Allah che stringe [la mano e la] apre»: (Tabarì ıı, nel senso di «elargisce agli uomini abbondanza o carestia». 207 II Profeta cui allude il versetto dovrebbe essere Samuele (Tabari ıı, Ibn Kathir (ı, 300). Saul, il re designato, fu rifiutato da molti in quanto appartenente alla tribù di Beniamino e non a quella di Giuda. 208 «l’Arca»: dell’Alleanza. Sua origine vedi Esodo xxv, ss.; uso che ne fece Saul vedi ı Samuele xıv, sulla sua riapparizione al tempo di Davide ıı Samuele vı, ss. 209 «sakîna»: la serenità irradiante dalla presenza di Allah. 210 Di fronte alle proteste che c’erano state a proposito della sua investitura, Saul aveva bisogno di verificare il grado di fedeltà e di obbedienza dei suoi soldati. La prova dell’acqua è quindi rivelatrice dell’adesione da parte dei Figli di Israele, alla volontà di Allah, che attraverso il Suo Profeta Samuele aveva designato Saul loro re. 211 «Allah è con coloro che perseverano»: «Pazienza, costanza e perseveranza, doti indispensabili per chi si rivolge al Suo Signore e chiede il Suo aiuto. Vedi anche nota a n, (in cui abbiamo tradotto: «Allah è con coloro che perseverano»). 212 A proposito di Davide e Golia vedi i Samuele xvn. 213 «che ti recitiamo» (o Muhammad). 214 Vedi nota a ıı, 215 «lo Spirito puro»: con questo nome il Corano si riferisce all’angelo Gabriele (pace su di lui). 216 «l’Assoluto»: questo termine, in mancanza di migliori, esprime in una parola il concetto di: «Colui Che esiste di per Se Stesso e per il Quale tutto esiste». 217 Questo è il celeberrimo «ayat-al kursi», il versetto del Trono, conosciuto a memoria da moltissimi musulmani; contiene una splendida sintesi di alcune delle caratteristiche di Allah (gloria a Lui l’Altissimo). 218 «Non c’è costrizione nella religione»: nessuno può essere costretto a seguire una religione e d’altra parte nessuno può essere impedito dal praticarla. Questo il significato generale del versetto. Secondo alcuni esegeti il versetto scese per tutelare la libertà religiosa della gente della Scrittura (nazareni ed israeliti). Vedi in proposito anche la sura cıx. 219 «l’idolo»: at-Tâghût, indica idoli, diavoli e tutto quanto viene adorato dagli uomini erroneamente e al di fuori di Allah. 220 «colui che… discuteva»: Nemrod, re di Babilonia. 221 Sull’identità del personaggio ci sono pareri discordanti: ’Uzayr, (Esdra) secondo una tradizione, altri indicano Elia o Geremia. 222 «da rimproveri»: il vers. precisa che rinfacciare un bene ne annulla il merito. 223 Tutto quello che l’uomo possiede in questa vita è caduco, la delusione e la disperazione di chi si accorge tardivamente di questa verità è esemplificata con la parabola di un uomo che vede distruggersi il suo patrimonio quando la vecchiaia gli impedisce di ricostituirlo e i suoi figli non possono essergli d’aiuto. 224 La qualità dell’elemosina è importante come la sua quantità. È certamente vero che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ci domanda di dare il «sovrappiù», ma questo non è certo lo scarto. Anche la maniera di dare fa parte della carità. 225 L’unica carità che sarà compensata è quella del tutto disinteressata, che brama solo il Volto di Allah. 226 II versetto, per il suo significato contingente al momento della Rivelazione, si riferisce ad un gruppo consistente di musulmani che erano fuggiti dalla Mecca per raggiungere il Profeta a Medina. Li chiamavano ash-shàbu al-suffa (la gente del portico), vivevano all’entrata della moschea in condizioni di povertà assoluta. 227 «Coloro invece che si nutrono di usura»: netta e assoluta la condanna dell’interesse sul denaro, dell’usura, della speculazione finanziaria sull’oro e sulle valute. 228 L’IsIàm tende alla prevenzione di tutto ciò che può portare turbamento all’interno della comunità dei credenti. Le questioni di denaro sono una delle maggiori occasioni di contrasto tra gli uomini e pertanto Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ci ha imposto di regolarizzarle con documenti scritti e controfirmati da testimoni. 229 «Il Messaggero»: Muhammad. 230 «Non facciamo differenza…»: l’IsIàm, lo ribadiamo, riconosce tutta la tradizione Profetica, a partire da Adamo fino a Gesù e afferma che Muhammad (pace e benedizioni su di lui) è l’ultimo inviato di Allah. In questa tradizione distinguiamo quelli che hanno recato una rivelazione (tra i quali Abramo, Mosè, Davide, Gesù, Muhammad) e sono chiamati Messaggeri (rusul, sing. rasûl) e quelli che, ispirati da Allah, hanno predicato agli uomini, il culto del Dio unico e li hanno esortati al bene (‘anbiyâ, sing. nabi). Secondo una tradizione questo versetto fu rivelato durante l’ascensione di Muhammad al cospetto di Allah: vedi nota iniziale della sura xvıı. 231 «Allah non impone a nessun’anima al di là delle sue capacità»: la sensazione che il «destino» ci sottoponga a prove troppo difficili per le nostre forze, fa parte di una fede strutturalmente od occasionalmente debole. Allah è il Giusto (gloria a Lui l’Altissimo), e certamente conosce esattamente le capacità di ognuna delle Sue creature. 232 La sura si conclude con un’invocazione all’Altissimo affinché sia misericordioso e paziente con noi, indulgente verso le nostre debolezze e le nostre sviste, renda chiara alle nostre menti e facile da seguire la legge che ci impone, ci aiuti e ci dia la vittoria, amin.

Hamza Roberto Piccardo

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