Mecca
sura Az-Zumar

ayah

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Luogo della rivelazione

Mecca

«Li adoriamo solo perché ci avvicinano ad Allah»: questo è il discorso di tutti coloro che, spesso inconsapevolmente, compiono il più grande dei peccati: lo shirk, l’associare qualcuno o qualcosa ad Allah (gloria a Lui l’Altissimo, l’Unico). Culto dei profeti, dei santi, dei ravvicinati (awliyà’) sono forme di associazionismo molto diffuse tra la gente della Scrittura (ebrei, cristiani) e purtroppo anche tra molti che si proclamano musulmani, con diverse forme e con diverso grado di gravità. Nelle forme più popolari della deviazione dalla purezza del culto, il wàli (il vicino) è visto come una sorta di patrono e intercessore degli uomini nei confronti dell’Altissimo (gloria a Lui) la sua tomba è meta di pie visite e nella «zàwiya» che gli è dedicata vengono recitate speciali giaculatorie a lui rivolte. Tutto ciò, pur se fatto in buona fede, rappresenta una grave deviazione dall’ortodossia islamica, tracciata con chiarezza dal Sublime Corano e dalla Sunna dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), una maniera di banalizzare lo sforzo di purificazione per avvicinarsi al Signore del Creato (gloria a Lui l’Altissimo), un indebito strumento di potere nelle mani di molti improbabili shuyukh (maestri depositari di una particolare influenza spirituale) per approfittare dell’altrui ignoranza e ingenuità. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ammetterà l’intercessione dei Profeti, dei martiri e degli uomini di scienza solo nel Giorno del Giudizio. Oggi la venerazione per gli uomini pii, limitata allo studio della loro vita con un fine di imitazione è legittima e raccomandata, la pratica comunitaria di opere supererogatorie anche sotto la guida di un maestro è accettata. Le altre forme di devozione costituiscono una «bid‘à» (innovazione eterodossa) rovinosa per chi le pratica e pericolosa per la salute spirituale di tutta la comunità islamica.